Il giudizio di Oriana Fallaci su Fini…

Pubblico l’articolo de Il Giornale, del 23 luglio 2010. Nel 2004 Oriana Fallaci dedicò alcune pagine di un libro pubblicato da Rizzoli, La forza della ragione , a Gianfranco Fini. Il giudizio era drastico e in qualche misura preveggente. L’attuale presidente della Camera, paragonato a Togliat ti, era già pronto a passare con la sinistra. Allora nessuno ascoltò


«Signor Vicepresidente del Consiglio, Lei mi ricorda Palmiro Togliatti. Il comunista più odioso che abbia mai conosciuto, l’uomo che alla Costituente fece votare l’articolo 7 ossia quello che ribadiva il Concordato con la Chiesa Cattolica. E che pur di consegnare l’Italia all’Unione Sovietica era pronto a farci tenere i Savoia, insomma la monarchia. Non a caso quelli della Sinistra La trattano con tanto rispetto anzi con tanta deferenza, su di Lei non rovesciano mai il velenoso livore che rovesciano sul Cavaliere, contro di Lei non pronunciano mai una parola sgarbata, a Lei non rivolgono mai la benché minima accusa.
Come Togliatti è capace di tutto. Come Togliatti è un gelido calcolatore e non fa mai nulla, non dice mai nulla, che non abbia ben soppesato ponderato vagliato per Sua convenienza. (E meno male se, nonostante tanto riflettere, non ne imbrocca mai una). Come Togliatti sembra un uomo tutto d’un pezzo, un tipo coerente, ligio alle sue idee, e invece è un furbone. Un maestro nel tenere il piede in due staffe. Dirige un partito che si definisce di Destra e gioca a tennis con la Sinistra. Fa il vice di Berlusconi e non sogna altro che detronizzarlo, mandarlo in pensione. Va a Gerusalemme, con la kippah in testa, piange lacrime di coccodrillo allo Yad Vashem, e poi fornica nel modo più sgomentevole coi figli di Allah. Vuole dargli il voto, dichiara che “lo meritano perché pagano le tasse e vogliono integrarsi anzi si stanno integrando”.
Quando ci sbalordì con quel colpo di scena ne cercai le ragioni. E la prima cosa che mi dissi fu: buon sangue non mente. Pensai cioè a Mussolini che nel 1937 (l’anno in cui Hitler incominciò a farsela col Gran Muftì zio di Arafat) si scopre «protettore dell’Islam» e va in Libia dove, dinanzi a una moltitudine di burnus, il kadì d’Apollonia lo riceve tuonando: “O Duce! La tua fama ha raggiunto tutto e tutti! Le tue virtù vengono cantate da vicini e lontani!”. Poi gli consegna la famosa spada dell’Islam. Una spada d’oro massiccio, con l’elsa tempestata di pietre preziose. Lui la sguaina, la punta verso il sole, e con voce reboante declama: “L’Italia fascista intende assicurare alle popolazioni musulmane la pace, la giustizia, il benessere, il rispetto alle leggi del Profeta, vuole dimostrare al mondo la sua simpatia per l’Islam e per i musulmani!”. Quindi salta su un bianco destriero e seguito da ben duemilaseicento cavalieri arabi si lancia al galoppo nel deserto del futuro Gheddafi.
Ma erravo. Quel colpo di scena non era una reminiscenza sentimentale, un caso di mussolinismo. Era un caso di togliattismo cioè di cinismo, di opportunismo, di gelido calcolo per procurarsi l’elettorato di cui ha bisogno per competere con la Sinistra e guidare in prima persona l’equivoco oggi chiamato Destra.
Signor Vicepresidente del Consiglio, nonostante la Sua aria quieta ed equilibrata Lei è un uomo molto pericoloso. Perché ancor più degli ex democristiani (che poi sono i soliti democristiani con un nome diverso) può usare a malo scopo il risentimento che gli italiani come me esprimono nei riguardi dell’equivoco oggi chiamato Sinistra. E perché, come quelli della Sinistra, mente sapendo di mentire. Pagano-le-tasse, i Suoi protetti islamici?!? Quanti di loro pagano le tasse?!? Clandestini a parte, spacciatori di droga a parte, prostitute e lenoni a parte, appena un terzo un po’ di tasse! Non le capiscono nemmeno, le tasse. Se gli spiega che servono ad esempio per costruire le strade e gli ospedali e le scuole che anch’essi usano o per fornirgli i sussidi che ricevono dal momento in cui entrano nel nostro paese, ti rispondono che no: si tratta di roba per truffare loro, derubare loro. Quanto al Suo vogliono-integrarsi, si-stanno-integrando, chi crede di prendere in giro?!?
Uno dei difetti che caratterizzano voi politici è la presunzione di poter prendere in giro la gente, trattarla come se fosse cieca o imbecille, darle a bere fandonie, negare o ignorare le realtà più evidenti. Più visibili, più tangibili, più evidenti. Ma stavolta no, signor mio. Stavolta Lei non può negare ciò che vedono anche i bambini. Non può ignorare ciò che ogni giorno, ogni momento, avviene in ogni città e in ogni villaggio d’Europa. In Italia, in Francia, in Inghilterra, in Spagna, in Germania, in Olanda, in Danimarca, ovunque si siano stabiliti. Rilegga quel che ho scritto su Marsiglia, su Granada, su Londra, su Colonia. Guardi il modo in cui si comportano a Torino, a Milano, a Bologna, a Firenze, a Roma.
Perbacco, su questo pianeta nessuno difende la propria identità e rifiuta d’integrarsi come i musulmani. Nessuno. Perché Maometto la proibisce, l’integrazione. La punisce. Se non lo sa, dia uno sguardo al Corano. Si trascriva le sure che la proibiscono, che la puniscono. Intanto gliene riporto un paio. Questa, ad esempio: “Allah non permette ai suoi fedeli di fare amicizia con gli infedeli. L’amicizia produce affetto, attrazione spirituale. Inclina verso la morale e il modo di vivere degli infedeli, e le idee degli infedeli sono contrarie alla Sharia. Conducono alla perdita dell’indipendenza, dell’egemonia, mirano a sormontarci. E l’Islam sormonta. Non si fa sormontare”. Oppure questa: “Non siate deboli con il nemico. Non invitatelo alla pace. Specialmente mentre avete il sopravvento. Uccidete gli infedeli ovunque si trovino. Assediateli, combatteteli con qualsiasi sorta di tranelli”.
In parole diverse, secondo il Corano dovremmo essere noi ad integrarci. Noi ad accettare le loro leggi, le loro usanze, la loro dannata Sharia. Signor Fini, ma perché come capolista dell’Ulivo non si presenta Lei?».
New York, gennaio 2004

NON DIMENTICHIAMO...



BUONASERA AMICI LETTORI!VI LASCIO UNA LETTERE CHE UN CARO AMICO MI HA MANDATO E HO PIACERE DI CONDIVIDERLA CON VOI E CON I VOSTRI COMMENTI.UN SALUTO A VOI E UN CARO ABBRACCIO AL MIO AMICO FRATERNO!!





Il tempo regala poesia ai teatri di battaglia, più si allontana l'eco degli
scontri ed il fragore della lotta. Tra qualche giorno si celebrerà il 92
anniversario della vittoria del Regno d'Italia contro l'impero Austro-
Ungarico,
in quella maestosa battaglia che i libri di storia ricordano come la “Grande
Guerra” europea e mondiale. Premetto con genuina onestà intellettuale: è
davvero difficile, se non quasi impossibile, per tre o quattro generazioni
dopo
sentire ancora quell'eco lontano, quei canti alpini, il stringerci attorno
ad
un brandello di terra che, da quando siamo venuti al mondo, abbiamo con
disinvoltura considerato Italia. Ciò nonostante è giusto e doveroso che
anche
in questo freddo e grigio Novembre del 2010, venga riscaldato da quel
sentimento patriottico e da quella dichiarazione d'amore per la Nazione
(nonché
per i suoi più fedeli alfieri: le forze armate) che è il miglior
antibiotico
all'influenza relativistica e alla crisi della memoria e dei valori che
oggigiorno si stanno rivelando più letali della pandemia influenzale
denominata
“la spagnola”. “Non lasciare che il passato ti dica chi sei, ma lascia che
sia
parte di ciò che diventerai”recitava uno slogan di qualche anno fa. Di
certo,
questo non è il momento di bieca retorica, di tributi, di anacronistico
nazionalismo (in una società multirazziale e sempre più globalizzante). No,
il
ricordo del 4 Novembre bisogna viverlo con quella genuina accoglienza con la
quale si offre ospitalità nella nostra dimora ad un parente che sembrava
perduto, un antico zio d'America che in rare occasioni viene a recarci visita
e
che ha bisogno più di tane fanfane, doppipetti e formalità solo di una cosa:
del nostro abbraccio e del nostro sorriso, il miglior biglietto di visita
per
chi ancora consideriamo un parente, uno stretto amico, una persona degna
della
nostra fiducia, stima nonché del nostro appoggio morale. Questo è lo
spirito
del 4 Novembre: da spendersi con un vecchio amico, seduti ai bordi di una
tavolozza di legno, chiaccherando con quella leggiadria dei bambini
accompagnati da buon vin brulè e pane caldo. È un sentimento santo chiamare
per nome e cognome le gesta più alte spese per il BelPaese. Ricordando chi
siamo, qual'è la nostra origine, comunitaria ed individuale, riusciremo ad
orientare i nostri passi nell'incertezza del futuro ed a reggerci nella
vacuità
odierna dove lo sport privilegiato è falciare tutto quello che odora di
ricordi, tradizioni e storia dei popoli. Quanti monumenti alla memoria,
quante
statue, strade, vie, passano oramai completamente inosservati o dismessi per
fare strada a vetrine luccicanti e centri commerciali mentre si sbiadisce
il
ricordo di chi, ai posteri, ha sacrificato la propria esistenza per un
ideale,
per la Patria, per un senso civico di dignità e libertà. Il nostro compito,
dunque, è essere severi custodi di quei resti, dei cimeli dei nostri nonni
che
non ammuffiscono mai, perchè il combattere per un sogno, un valore o un
ideale
non muore mai. Seicentocinquantamila sono stati i connazionali, perlopiù
giovani, che sono caduti in battaglia portando il tricolore e cantando le
canzoni degli Alpini. Altresì, per una volta, bisognerebbe porre a tacere le
bieche polemiche politiche e posare il nostro pensiero ai sacrari di Asiago
e
Redipuglia, alla città di Gallio (medaglia d'oro al valor militare),
all'Ossario del Monte Grappa, alla terribile fortezza dello Spielberg, dove
venne rinchiuso Silvio Pellico, agli irridentisti trentini ed a chi è morto
nel
gelo dei monti o peggio ancora è stato abbandonato nella cantina del
dimenticatoio.
Doveroso, dunque, per un giorno guardarci allo specchio e ritornare a
prendere
quella confidenza con le nostre storie, le nostre radici ed il lascito dei
nostri Padri.
Dopo aver perduto la festa cattolica di Ognisanti, barattata per il rito
celtico e anglofono di Hallowen, da Italiano non voglio perdere la
celebrazione
civica del 4 Novembre: non vorrei mai ritrovarmi a tavola il 4 Luglio a
mangiare tacchino cantando “The Star spangled Banner”!
W la Patria!
W il 4 Novembre!

Paolo Cecco

La Grande guerra vista da Gioacchino Volpe




di Marcello Veneziani.

La Grande Guerra, la Vittoria Mutilata, l’Inutile Massacro. Eccola, la Prima Guerra Mondiale, compimento sanguinoso del nostro Risorgimento, apoteosi catastrofica della nostra Unità che diventa, con la coscrizione obbligatoria, unità popolare oltre che nazionale. Gioacchino Volpe (1876-1971) fu il principale storico dell’Italia in cammino, dal Medioevo alla Modernità, dal Risorgimento alla Prima Guerra mondiale e poi al fascismo. Raccontò l’Italia in guerra e il popolo in armi, scrisse pure una storia degli italiani per i ragazzi. Ma Volpe non raccontò solo quella storia, la visse in prima persona, fu decorato con la Medaglia d’argento e vi partecipò da ufficiale in borghese e da storico militare, perché era ormai un accademico sulla quarantina. Quel che presentiamo in questa pagina, piccolo assaggio del suo vasto carteggio, è il Volpe cronista, testimone e partecipe di quella stessa storia che poi scriverà da storico e accademico. Come accadde ad Erodoto, egli fu storico sul campo.
C’è un carteggio fitto di lettere scritte alla famiglia dal fronte o dall’ufficio storiografico della Mobilitazione che mostrano lo sguardo familiare con cui Volpe osserva quel che poi descriverà sul piano pubblico. Lettere tenere, a volte curiose, scritte con la calda umanità che contraddistinse la scrittura di Volpe. Lettere e cartoline che mi ha dato il suo pronipote Amedeo, indirizzate da Gioacchino a sua moglie Elisa Serpieri, spesso chiamata «cara bimba», o a suo figlio Nanni, che diventerà poi l’editore Giovanni Volpe, all’epoca poco più che bambino. Sono lettere autografe, a volte ricopiate da mano femminile o dattiloscritte nel retro di articoli volpiani. Lettere di un italiano che ama la sua patria anche quando è a casa, parla del suo paese natio Paganica e narra ai suoi bambini il fronte e le trincee. Sente di appartenere a un popolo, di condividerne la sorte e i sacrifici, immerso nella storia e nel destino del suo Paese. Un sobrio amor patrio, senza fanatismi.
Come fu la sua adesione al fascismo e la sua fedeltà alla monarchia, sottraendosi alla Rsi; per lui i regimi passano, l’Italia resta. E la sua passione di storico, temprata nello stile dal suo tirocinio nel giornalismo grazie ai suoi zii Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao, a partire dal ruolo di correttore di bozze al Mattino di Napoli. Poi la cattedra, il sodalizio con Gentile, la sua critica al razzismo, la sua difesa di Ernesto Bonaiuti e dei fratelli Rosselli, i giudizi diffidenti di Mussolini su di lui, e dopo la guerra la sua epurazione dall’università, il suo dignitoso riserbo e la sua coerenza. Da storico capiva che non bisogna lasciarsi assorbire nel presente, ma lasciar decantare i fatti.
Avevo consultato i suoi carteggi inediti grazie ai suoi figli, Giovanni e Vittorio, e a sua nuora Elza. Pubblicai anni fa alcune sue missive, tra cui un conflitto epistolare e giudiziario con Marinetti; inevitabile, uno si occupava, da storico, del passato e l’altro si eccitava, da poeta, per il futuro. Volpe concepiva la sua missione di storico a metà tra l’arte e la scienza, perché la storia, diceva con Labriola, è scienza del procedimento e arte della narrazione. Volpe fu lo storico della Nazione, amò il Risorgimento ma ricordò a Croce che l’Italia era nata molto prima della sua Unità. Alla vigilia dei 150 anni, merita di essere ricordato come la principale guida al nostro passato nazionale. L’Italia che fu - titolo di un suo libro uscito nel 1961 per i cent’anni dell’unità d’Italia - non può dimenticare il suo Virgilio.



BUONASERA AMICI LETTORI!!!VI CONSEGNO UN'INTERESSANTE ARTICOLO DI VENEZIANI SUL "4 NOVEMBRE" BISTRATTATO DA POLITICI E BENPENSANTI E TROPPO SPESSO MESSO IN SECONDO PIANO PER LA SUA "LONTANANZA"...QUELLA LONTANANZA NON DEVE FARCI PERDERE IL SIGNIFICATO DI QUELLA GRANDE GUERRA CHE CAMBIO' I DESTINI DEL MONDO EUROPEO E ANCHE ITALIANO...PER FARVI CAPIRE QUANTO LA SENTIAMO IGNORANTEMENTE LONTANA VI LASCIO 2 ANEDDOTI CHE ACCADONO IN ALTRI PAESI EUROPEI:


A Ypres, piccola cittadina belga che gli abitanti fiamminghi chiamano Ieper, ogni sera, si svolge ancora oggi una toccante cerimonia: “Dal 1928 si ripete lo stesso rito che è stato sospeso soltanto durante l’occupazione nazista – testimonia Cervone -. Ogni sera, alle otto in punto, sotto le volte della Porta di Menin, il possente sacrario dei 55 mila senza tomba, va in scena l’omaggio sonoro ai caduti della Grande Guerra, e riecheggia il suono delle cornamuse scozzesi e di tre trombettieri che eseguono ‘The Last Post’, il motivo che chiudeva la giornata negli accampamenti degli inglesi”.

Anton Verschoot, nato a Ypres nel 1924, suona ogni sera la sua tromba davanti al memoriale. Tutte le sere è lì. Altri due trombettieri ruotano ma lui è sempre presente, salvo le assenze per qualche acciacco o perché in tournèe con la banda dei pompieri dove è entrato su richiesta del suocero. Le note echeggiano tra le pareti che grondano nomi britannici, irlandesi, americani, australiani, neozelandesi, sudafricani, tutti ragazzi spazzati via dal fuoco tedesco in una delle più crudeli battaglie della Prima Guerra mondiale dove per la prima volta i tedeschi usarono il letale gas chimico, chiamato appunto “iprite”.

DOVREMO TUTTI RENDERE OMAGGGIO AI VALOROSI CADUTI DI QUELLA IMMANE GUERRA!!!

ALLORA...IO DICO...LIBERIAMO ANCHE L'OMICIDA DI TREVISO!!!




VI LASCIO CON UN'ARTICOLO INTERESSANTE DEL SEMPRE IRRIVERENTE MASSIMO FINI DA CUI PRENDO SPUNTO ANCHE DA UNA RIFLESSIONE DI UN CARISSIMO AMICO..IO DICO...MOBILITIAMOCI PER TUTTI SE DOBBIAMO FARLO...PER SAKINEH...PER LAURA...PER SABRINA MISSERI(CHE COME LAURA E SAKINEH E' STATA COMPLICE E MANDANTE FORSE DELL'OMICIDIO DI SARAH SCAZZI!!!)

A VOI IL COMMENTO!!!!

pubblicato su Il Fatto il 21 settembre 2010

Io propongo un appello e una mobilitazione internazionale per Laura "subito libera". Chi è costei? È Laura De Nardo, la donna di 61 anni di Conegliano (Treviso) che è stata sbattuta in galera perché accusata di aver tradito il marito e poi di averlo fatto accoppare da un paio di suoi amanti. Che differenza c'è con Sakineh, la giovane iraniana per la quale tutto il mondo occidentale si è mobilitato, che dopo aver tradito il marito lo ha fatto accoppare dal proprio amante? Certo la De Nardo rischia solo l'ergastolo, mentre Sakineh è stata condannata a morte per lapidazione. Ma buona parte della mobilitazione occidentale non chiedeva semplicemente che all'iraniana fosse risparmiata una punizione così arcaica, voleva Sakineh "subito libera". Davanti a una gigantografia della bella Sakineh che, per iniziativa del governo italiano, campeggia da giorni davanti all'ingresso di Palazzo Chigi (pretendo che un'altrettale iniziativa sia presa per la sessantunenne De Nardo, che a differenza di Sakineh è vecchia e per nulla attraente, non potendo nemmeno immaginare che le femministe italiane, che tanto si sono battute per l'iraniana, facciano dei distinguo di questo genere), il ministro degli Esteri Franco Frattini e quello per le Pari Opportunità Mara Carfagna hanno dichiarato: «Finché Sakineh non sarà salva e libera il suo volto ci guarderà dal palazzo del governo italiano.» Nelle molte manifestazioni che si sono svolte nei giorni scorsi si inneggiava alla libertà di Sakineh. E nello stesso appello di Bernard Henri Levy, che ha dato inizio alla campagna, se ne pretendeva la scarerazione immediata. Ma da questo punto di vista Laura e Sakineh sono sullo stesso piano: non sono due perseguitate politiche, ma detenute comuni accusate entrambe dello stesso reato, l'uxoricidio per poter continuare in santa pace le loro relazioni adulterine.
Dice: ma non ci si può fidare dei Tribunali iraniani. E perché mai ci si dovrebbe fidare di quelli italiani, quando sono quindici anni che il presidente del Consiglio, tanto certo dell'iniquità della nostra giustizia da pretendere di esservi sottratto per legge, va dicendo che «i giudici sono dei pazzi antropologici» e afferma che la Magistratura in Italia «è il cancro della democrazia», concetti ribaditi in un recente convegno internazionale ad altissimo livello, cui partecipavano coreani, giapponesi, americani, canadesi, australiani, neozelandesi oltre che rappresentanti dei Paesi europei, sputtanando così l'Italia del diritto, e l'Italia tout court, davanti al mondo intero?
Quindi Laura De Nardo "subito libera". E sono certo che Bernard Henri Levy, difensore professionale dei "diritti umani" in ogni parte del globo, non si sottrarrà al dovere morale di firmare questo appello.

Massimo Fini

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La mia foto
sono un tipo socievole e grande appassionato di politica ed in genere di tutto quello che può far accrescere il proprio bagaglio culturale, sempre pronto a imparare da tutti e sempre pronto a confrontarsi con tutti, mi ritengo un'idealista,forse troppo a volte ma in questo periodo di poco idealismo mi tengo stretto questo lato del mio carattere. da poco sono entrato a far parte del partito "La Destra" e vado orgoglioso di questa mia scelta..anzi..se volete condividere con me questo impegno,anche per il nostro territorio contattatemi all'indirizzo mail ladestralegnago@virgilio.it