CARISSIMI LETTORI VI LASCIO UN ARTICOLO DELL' AMICO PAOLO CECCO CHE CI INVITA ALLA SCOPERTA DELLE ORIGINI DELLA NOSTRA SPENSIERATEZZA...LE ORIGINI E L'EVOLUZIONE DELLO SPETTACOLO POPOLARE E DELLE GIOSTRE NELLE EPOCHE PASSATE FINO AI GIORNI NOSTRI... VI CONSIGLIO UNA VISITA A QUESTO INTERESSANTE MUSEO!!!!ALLA PROSSIMAAAAAAAAA!!!

il Museo della Giostra e dello Spettacolo Popolare di Bergantino


Oggetti storici, preziosi strumenti musicali d'epoca, manufatti artistici, pubblicazioni, stampe, foto e filmati. Questo ed altro ancora è contenuto nel magnifico mondo rappresentato dal Museo Nazionale della Giostra e dello Spettacolo Popolare di Bergantino. Sorto tredici anni fa, all'interno del Settecentesco Palazzo Strozzi, il Museo si è posto sin dal principio come un'istituzione unica nel suo genere; più che un semplice “contenitore di memorie”, è in realtà un volano proiettato a divenire un punto di riferimento nazionale per quello che concerne la cultura popolare di piazza. Il percorso museale realizzato parte da molto lontano, dalle prime grandi civiltà del mondo antico, prendendo in considerazione l'evoluzione dell'uomo e delle forme di divertimento, ognuna delle quali è sempre l'espressione della cultura di un'epoca e di un ambiente determinato. Il Museo, naturalmente, non può offrire una documentazione esaustiva di tremila anni di spettacolo popolare, ma vuole individuare il filone ideologico ed i valori culturali che da sempre hanno accompagnato il tempo libero dei borghi, giardini, rioni e piazze d'Italia. Il visitatore che approccia la giovane esposizione, dunque, si trova inserito in un percorso culturale, storico e antropologico, suddiviso in quattro sezioni: “Le origini”, “La fiera”, “Il Luna Park”, “ La gente del viaggio e l'industria dei sogni”. Ogni sezione è ampiamente illustrata da accurati testi ben corredata da un'ampia documentazione iconografica, che presenta immagini vive di personaggi curiosi, di giochi, spettacoli, attrazioni, che sono apparsi sulle piazze di tutti i tempi. Quello che si gusta attraversando le colorate stanze di Palazzo Strozzi è un percorso storico di tanti giochi, spettacoli e giostre, analizzato in tutte le sue componenti: dai cantastorie e saltimbanchi medioevali al teatro dei burattini e delle marionette, dagli artisti ambulanti e musici al teatro delle maschere e al circo, dalle semplici altalene alle giostre di vertigine della nuova tecnologia e a ogni forma di spettacolo popolare organizzato dai fieranti nella varie epoche. Figure centrali rappresentate all'interno del plesso storico sono i Viaggiatori. I protagonisti del “Dì di festa”, sono, quindi, questi uomini dell'arte nomade che offrono alla gente spettacolo e divertimento, apparendo agli occhi della comunità stanziali come figure magiche, che sembrano provenire da un “Altrove”, appartenente ad un mondo così lontano da quello abituale e consuetudinario che si dissolve in un immaginario popolare. In questa ampia esposizione non poteva mancare il riferimento agli aspetti locali dello spettacolo viaggiante, proprio perchè nell'Alto Polesine la creazione delle giostre è una realtà significativa a livello internazionale e inoltre a Bergantino, risiedono ancora oggi ben 50 famiglie di spettacolisti itineranti, che con le loro attrazioni portano il sano divertimento nelle fiere di tutto il mondo. Qui si raccontano anche le storie di vita di tanti viaggiatori che, per usare le parole del D'Annunzio, mentre portano la festa tra la gente... “ costruiscono con le loro giostre il breve incanto delle città effimere, ultime fiabe viventi degli uomini che cercano il puro sorriso dell'innocenza perduta”. L'approccio con il Museo del piccolo comune polesano è in sostanza un viaggio infinito alla ricerca delle origini del mondo dello Spettacolo Popolare; è un'avventura cui vale la pena dare inizio, perchè attraverso di essa si può ripercorrere un tratto del progresso dell'uomo e del cammino dell'umanità e per tanto, probabilmente, conoscere un po' noi stessi.

Paolo Cecco

IL "MIO" GIORNO DEL RICORDO - DELL'AMICO PAOLO CECCO.

Certo, non si può essere schiavi del passato né rivolgere ad esso il nostro agire e le nostre scelte quotidiane ma della memoria, specie se collettiva, bisogna conservarne la sua sacralità senza mai disperdere il suo lascito morale ed identitario.
Scrivo quest'articolo in occasione della commemorazione del “Giorno del Ricordo”, istituito con legge n. 92 il 30 Marzo 2004; in memoria delle innumerevoli vittime (si parla di cifre che vanno dai 15 mila fino a toccare i 30mila morti) delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata. Nell'appiattimento culturale e valoriale scaturito dalla società consumistica- edonistica, il peso della Storia si fa più lieve; le date perdono il loro significato, il calendario è unicamente tracciato in una nuova gerarchia delle utilità: consuma, consuma ed ancora consuma. Il sapere, l'affiliazione con la propria terra e la genuina, quanto gelosa, custodia del surplus valoriale ed identitario, vengono sbranati e sacrificati come le domeniche ai centri commerciali e come quella pigrizia che ci rimbambisce il “di di festa”. Ritengo, invece, che sia basilare per una collettività, ricordare e poggiarsi su quelle colonne portanti che, nei momenti più drammatici come in quelli più salvifici, hanno condizionato irrimediabilmente il destino umano e spirituale di una nazione. Possibile che l'epopea delle costituzioni e dei diritti non sia così arcigna nel difendere il “Diritto alla memoria” e al rispetto alla terra dei propri antenati? Certo, è un modesto, quasi irrispettoso, tributo quello riservato al “consumo delle memorie”: il gioco di ruolo, inscenato dalla società turbo-capitalistica che, per un istante (specie nei momenti focali), utilizza la maschera del compianto al solo fine di barattare “anima e cuore” della mercanzia esposta. La commemorazione ed il rispetto del proprio passato deve andare ben oltre a queste tragicomiche Colonne d'Eracle. L'orrenda società che dai“fantastici” anni '60 (quelli di Marilyn, di Kennedy, della Televisione e del consumo di massa) ci massacra, con il suo relativismo e il suo menefreghismo storico, conscia della sua anoressia identitaria, ha ideato il più malefico dei circhi: il “super market emozionale”. Obiettivo del “mercato dei sentimenti” è procurare una sensazione di dolore, gioia, felicità, eccitazione, o tragedia a seconda del momento che si sta commemorando; poi si getta la maschera, il sipario cala e si ritorna ad indossare le sole vesti che si addicono a questo costrutto sociale: quella degli spietati consumatori. La società tecnicizzata ( e tecnocratica) non poggia sul nulla, dunque, conscia della sua frugalità esistenziale, si cela come realtà umana, sensibile e pensante per un istante ma rimane fortemente radicata nella sua spietatezza ed ancestralità umanoide. Occorre uscire da questa assuefatta realtà, e ripensare ad un modello di società relazionale, emotiva, culturale, identitaria, paternalistica. Il mio ricordo del 10 Febbraio (come altre date che hanno destato sul nostro essere italiani), deve andare oltre ad un limitato arco temporale di 24 ore; la relazione, l'amore, il rapporto con la nostra cultura italiana deve essere vissuto teologicamente tutto l'anno. Non appiattiamoci su un “riciclaggio culturale”, l'ultima frontiera del supermercato edonistico; emancipiamo il nostro agire in direzione di una cultura, di un “addestramento” mentale e spirituale che possa, davvero, poggiare su solidissime basi. La nostra cultura, la nostra Patria, l'identità corale che ci hanno lasciato i nostri antenati rappresentano la fortuna più grande che abbiamo. Non disperdiamo questo Eldorado negli sconti famiglia e nelle carte di credito, nuovi regolatori sociali e del tempo presenti. Il nostro sentirci Italiani, l'armonioso rispetto del nostro passato (glorioso e tragico), deve rappresentare l'ossatura della nostra esistenza; il tempo e lo spazio sono infiniti e ripetibili; la nostra essenza (composta da valori e ideali), invece, è finita, unica ed eccezionale. Ricordiamo, quindi, questo 10 Febbraio non solo nella seconda settimana di Febbraio e stringiamoci il petto quanto sentiamo parlare della terra che ci ospita: perchè è una terra bella, feconda di idee, valori, sensazioni, profumi, gusti, tradizioni, uomini, tragedie, vittorie che hanno fatto da faro (non da giornata da sconto) per innumerevoli popoli, nazioni, epoche. Siamo fieri di essere Italiani, oggi, domani, sempre!

SULLA VIOLENZA


CIAO A TUTTI AMICI LETTORI!!LASCIO AI VOSTRI COMMENTI UN ARTICOLO DELL'AMICO PAOLO CHE TRATTA PROPRIO DEI FATTI DI ROMA AVVENUTI DOMENICA...SENZA GIUSTIFICARE ALCUNA VIOLENZA VOGLIAMO ANDARE A MONTE DI QUESTA ESASPERAZIONE?? A VOI!! ALLA PROXXXXXXXXXXXXX!!!!!






Ho sempre diffidato degli iprocriti e degli stupratori del pensiero. I fatti sono noti: le “violenze” che hanno scandito il fine settimana di metà Ottobre nella Città Eterna e, di routine, gli organi che dovrebbero informarci e che, puntualmente, hanno mirato al dito (appunto la violenza dei black bloc) ma non alla luna (chiedersi il perchè c'erano migliaia di persone in piazza).
Le rivoluzioni e gli ammassamenti di folla sono sempre state violenza allo stato brado, sanguinose, schizofreniche, crude. La storia è maestra di soprusi e violenze. Dalle massicce ribellioni dei cristiani contro i popoli politeisti nel mondo classico, per giungere alle tre celebri rivoluzioni che hanno segnato il sorgere dell'epoca “moderna”: la “Gloriosa Rivoluzione inglese”, l'indipendenza Americana e la mitica“Rivoluzione Francese”, sono state segnate da crimini atroci, morte, distruzioni, lacrime, sangue, stupri e atti diabolici. Piaccia o meno, lo scheletro con cui è stato forgiato il tempo ed il modo di vivere civico e politico che da un paio di secoli ha fatto scena nel teatro dell'Occidente, la forma democratica di governo, è sorta con le teste mozzate, con i Robespierre in piazza (dati alla mano ha fatto più morti del peggiore Black Bloc “spacca vetrine”), la Vandea e le chiese date alle fiamme. Lo stesso dicasi per il decantato (giustamente) Risorgimento Italiano: stiamo celebrando il 150° esimo anniversario dell'espropriazione degli oltre 57.243 ordini religiosi, dell'assassinio di 266.370 borbonici, di 23.013 militari sardi uccisi e più in generale di oltre un milione di morti, questo il costo della conquista militare del Sud. I filantropi della domenica, quelli che non hanno mai aperto un libro di storia (neppure un Bignamino) in vita loro, vorrebbero le rivoluzioni e le sommosse di popolo in stile francescano, quasi delle marce della pace. La verità, parlando schiettamente, è che la gente quando ha fame e vessa in condizioni di estremo bisogno non può scendere nelle vie e nei rioni con l'atteggiamento di un Gandhi o di un monaco buddista. Se l'italiano è ancora in voga in questa piccola colonia dell'impero usuraio e bancario a stelle e strisce, le “rivoluzioni”sono definite tali poiché s letteralmente in essa, caturisce l'idea di una violenza popolare che fuoriesce dalla legalità preesistente e l'idea di ri-creare, ri-fondare la legittimità del potere comunitario secondo nuove regole. Quando si sogna di fare “tabula rasa” della vecchia società (dell'Ancien régime, detta all'illuminista) è difficile risolvere il tutto come in una pallosa riunione di soci di banca. La società illuminista, uscita da una violenza paranoica, ha l'arroganza di amalgamare il tutto e di debellare, a priori, la violenza e l'aggressività. Pura utopia! La violenza sociale è un tassello della sfera pubblica. Sul tema dell'aggressività ci viene in soccorso il censuratissimo Massimo Fini:” tutte le culture primitive sapevano benissimo che il problema della violenza non era quella di sopprimerla, cosa impossibile e pericolosa, ma di incanalarla e ritualizzarla”. Fini ci parla della festa del potlach, della guerriglia ritualizzata che dava uno sfogo, controllato, alla violenza. Presso gli Ashanti era d'uso, una volta all'anno che si potesse insultare chiunque, sovrano compreso. L'aggressività e la violenza sono una parte imprescindibile della nostra vita: nascere, procreare e morire sono atti assolutamente violenti, dunque umanissimi! Ovviamente il mio non è un manifesto sulla violenza; non era un “violento” Thomas Hobbes quando affermava:” Homo, homini, lupus”; sostengono semplicemente che più di interrogarsi sulla “violenza” bisogna riflettere , se si vuole costruire una società dignitosa e “civilmente violenta” sulle motivazioni che portano alle manifestazioni della violenza e a migliaia di cittadini accalcati lungo la strada. È futile e inutile quell'inchiostro adoperato dai quotidiani per descriversi le ultime manifestazioni “violente”; sarebbe come voler debellare la morte: la violenza è nata e morirà con il genere umano. Occorre, da buoni medici civici, ascoltare i sintomi della società e prevenire le forme più recalcitranti e devianti di violenza. Disquisire unicamente sulla nuda violenza e sui suoi protagonisti e disinteressandosi ciecamente delle cellule motivazionali che hanno partorito taluni atteggiamenti sociologici rassomiglia, per chi gestisce la cosa pubblica, a quel re nella Rivoluzione francese che informato della presa della Bastiglia tratta la rivoluzione come fosse una rivolta ed alla fine gli tagliano la testa.

Paolo Cecco

"Thank you and Goodbye" In memoria di News of The World (1843 - 2011)

VI LASCIO L'INTERESSANTE ARTICOLO DELL'AMICO PAOLO...A VOI I COMMENTI!!!




Uno spettro si aggira sull'isola di Albione: quello della censura del pensiero e della libertà di stampa.
Il News of World, tabloid britannico nato nel 1843, Domenica 10 Luglio 2011 ha cessato di pubblicare le sue celebri inchieste e campagne di gossip. “Tank you and Goodbye” è stato l'ultimo editoriale partorito in Via Thomas More poi il chiassoso, gelido, irriguardoso silenzio. Il motivo della siffatta decisione è conosciuto ai più: lo scandalo è quello delle intercettazioni telefoniche abusive e della corruzione degli agenti di polizia per avere informazioni riservate sull'èlite britannica (politici, personaggi dello spettacolo e dello sport) oltre che sulle vittime degli attentati del 2005. Certamente una condotta irriguardosa, irrispettosa, vomitevole ma mai così disumana da richiedere un Piazzale Loreto per il giornale e per il suo editore: il magnate autraliano Rupert Murdoch. Per la prima volta dalla Seicentesca Gloriosa Rivoluzione, anche l'Inghilterra ha conosciuto la censura e la gretta chiusura dei giornali: la quinta colonna della libertà individuale e sociale. Rattrista ammetterlo, specie perchè è quasi passato inosservato il gesto, ma Domenica 10 Luglio, il mondo “occidentale” ha vissuto una Pearl Harbor dei diritti, voltando di netto le spalle alla sua nobile eredità culturale, morale, intellettuale. In piena tirannia tecnocratica-finanziaria, è stato stroncato uno dei secolari baluardi su cui i nostri antenati hanno fuso ed originato l'occidente e la mentalità occidentalista: la libertà di espressione e di pensiero. “Se tutti gli uomini, meno uno, avessero la stessa opinione, non avrebbero diritto di far tacere quell'unico individuo più di quanto ne avrebbe lui di far tacere, avendone il potere, l'intera umanità”. Così scriveva due secoli fa John Stuart Mill, padre del Liberalismo e della Modernità. Gli inglesi hanno riposto i John Stuart Mill e i Montesquieu “Le lettere Persiane” a marcire nella polvere e nella soffitta del dimenticatoio; forse è più utile seguire quel grigiore relativista o quei dicktat da Banca Centrale Europea, che ci fanno scordare di chi ha gettato le norme basilari del quieto vivere in società ritenute“civili e liberali”. “Impedire l'espressione di un'opinione”- riprendendo ancora il saggista anglosassone-”significa derubare la razza umana”. Domenica i pronipoti di Mill hanno derubato l'umanità di un brandello di concetti, sensazioni, riflessioni: magari inconciliabili, violenti, schizofrenici ma si trattava pur sempre della dignità di espressione e di pensiero di una buona fetta (l'ultima copia ha venduto più di cinque milioni di copie) di lettori europei. Murdoch è una figura scomoda, invidiata, quasi indigeribile nell'epopea dove tutto brucia e consuma. Murdoch può rassomigliare a quel capitano (di origine ebrea) dell'esercito francese, Alfred Dreyfus, indigesto in una nazione a quel tempo fortemente antisemita e razzista. Dunque, anche per il potente australiano, dopo questo oltraggio ad un diritto della nostra civiltà, occorre gridare a pieni polmoni il nostro sacro “J'Accuse”. Abbiamo il dovere di denunziare la nostra ferma accusa nei confronti di un evidente sopruso intellettuale: il porre un bavaglio ad un organo di stampa. Quando chiude un giornale si getta un'ombra sull'intera umanità. “La libertà di espressione” viene definita da Mark Twain come “un privilegio dei morti”, una prerogativa di cui da vivo nessuno realmente gode. Tantomeno i giornalisti. Per Twain, la libertà di parola è peggio dell'omicidio:” questo a volte è punito, la libertà di parola lo è sempre quando viene esercitata”. Dobbiamo dare ragione a Twain, ancora oggi? Ha davvero un prezzo la libertà di poter dire e pensare quello che si vuole? Anche questo principio è stato svenduto al gran bazar della finanza e del conformismo? Urge riscoprire l'indignazione ed erigere inespugnabili muraglie per fare ricordare ai distratti contemporanei il valore e tutta la preziosità dei diritti inalienabili che hanno gettato le basi per il mondo moderno. Domenica non è stato sconfitto Murdoch, abbiamo perso tutti noi, e di brutto!

Paolo Cecco

Solidarietà a Verona

AMICI VI LASCIO CON UN'ARTICOLO DEL MIO AMICO PAOLO CHE ANALIZZA IN MODO OBIETTIVO COME VIENE TRATTATA LA TIFOSERIA DELL'HELLAS E LA CITTA' DI VERONA...TROPPO SPESSO BISTRATTATA OLTREMODO...CON CIO' NN SI VUOLE GIUSTIFICARE GLI EPISODI DI VIOLENZA MA RILEVARE 2 PESI E 2 MISURE NELLE NOTIZIE DEI MEDIA QUANDO SI TRATTA DI VERONA E DELL'HELLAS VERONA!!!GRAZIE AMICO MIO!!!




Solidarietà a Verona

Subito una premessa: non sono un tifoso “fazioso” veronese di parte, sono da sempre un cuore granata (sponda Toro). Ciò non mi esime nel portare la mia attestazione di solidarietà e vicinanza non solo alla squadra Hellas Verona, ma ai giornalisti de l'Arena nonché ad un'intera città: quella del mio capoluogo. Mi sarebbe piaciuto aver visto i democratici e scalfariani mass media se l'Arechi anziché nell'idilliaco e bonaccione “Sud” si fosse trovato alle porte di Piazza Bra. Salvati o cielo! Si sarebbero spesi fiumi d'inchiostro per denigrare la “Violenta Verona”, si sarebbe assistito al via vai di sociologi, psicologi, tronisti e nullatenenti pronti, come caimani, ad analizzare il tifo giallo-blù e scagliare le pietre sui cittadini di una delle più civili e deliziose città del Belpaese. La verità, piaccia o meno, è che Verona e i “Butei”dell' Hellas sono figli di un dio minore: i loro “buu” sono più udibili di quelli della curva parmense, le loro “baruffe” sono da sbattere in prima pagina rispetto a quelle dei tifosi blu-cerchiati o bianconeri. Sul Verona e su Verona esiste da molto tempo una viscida cappa di ipocrisia, una gran brutta bibliografia ed un cinico giornalismo che predilige il tifoso ed il cittadino scaligero, violento, fanatico, quasi animalesco. All'Arechi è successo di tutto: giornalisti minacciati, fumogeni lanciati in aeroporto, pugni, sputi, sberle, addirittura una intera squadra e più di mille tifosi assediati nello stadio. Mi chiedo se i giornalisti de “L'Arena” hanno ricevuto attestazioni di stima e solidarietà magari dai loro colleghi i democratici e pacifisti de “La Repubblica” o de” Il fatto quotidiano”. ah..allora va bene la censura, ecco che emergono i distinguo: se si parla di Salerno (come di Udine o Parma..non ne faccio una questione geografica) non bisogna sputtanare tutta la città, si deve parlare di “un gruppo isolato di teppisti”. Mi piacerebbe che quei soloni, per una volta, trovassero un minimo di dignità personale e si scusassero con le istituzioni, con i loro colleghi e con tutta la cittadinanza veronese per le infinite vomitate che hanno riversato sui colori, sulla storia e sulla civiltà di Verona e dei veronesi.

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sono un tipo socievole e grande appassionato di politica ed in genere di tutto quello che può far accrescere il proprio bagaglio culturale, sempre pronto a imparare da tutti e sempre pronto a confrontarsi con tutti, mi ritengo un'idealista,forse troppo a volte ma in questo periodo di poco idealismo mi tengo stretto questo lato del mio carattere. da poco sono entrato a far parte del partito "La Destra" e vado orgoglioso di questa mia scelta..anzi..se volete condividere con me questo impegno,anche per il nostro territorio contattatemi all'indirizzo mail ladestralegnago@virgilio.it